domenica 22 maggio 2011

TEATRO / Blackbird, di David Harrower



Massimo Popolizio e Anna Della Rosa - © David Ruano

26 aprile - 29 maggio 2011
TEATRO STUDIO di Milano
Blackbird
di David Harrower
per la regia di Lluís Pasqual
 con Massimo Popolizio
e Anna Della Rosa
Non c’è posto nella società per quei due
Se l’amore è in contrasto con l’etica
di Iole Natoli

Il luogo è imprecisato ma non conta. All’esterno c’è una qualche città, ma il posto chiuso e quasi claustrofobico in cui il dramma si svolge è un ufficio, o forse lo spazio di raccolta dei rifiuti, o le due cose insieme, se Ray non è il manager che Una supponeva che fosse, dopo averlo riconosciuto in fotografia, ma soltanto il custode dell’edificio. La ragazza oltrepassa la porta d’ingresso che conduce per una scala metallica al locale, con l’intento di ritrovare un fantasma. In carne e ossa, però, vuole incotrarlo, in una carne invecchiata di quindici anni, cosa che in un soggetto sessantenne ha, o almeno dovrebbe avere, un certo peso.

Ripercorrendo i quindici anni all’indietro e partendo dai 27 di Una, ritroviamo se non nelle sembianze nello spirito, nelle parole, nel ritratto psichico che David Harrower acutamente ne fa, la dodicenne che fu allora sedotta, o che fu seduttrice innamorata, in ogni caso la partner minorenne di Ray, al tempo della loro relazione.
Lluís Pasqual - © Iole Natoli
Chi era Ray allora per la piccola Una? Un perfetto sconosciuto che il padre aveva invitato un giorno ad una festa, riunendo intorno a un barbecue nel giardino amici, conoscenti, vicinato. Era soltanto un ospite occasionale, che Una incontra e con cui s’intrattiene. La ragazzina sembra all’uomo più grande dei dodici anni che dichiara di avere. Nel parlare non ha freni di matrice sessuale e sbandiera opinioni precise, con maggior forza della donna già adulta che era all’epoca la fidanzata di Ray.
Scatta tra i due qualcosa d’imprevisto, una complicità che si tramuta presto in desiderio, acuito forse dalla consapevolezza di entrambi della non ammissibilità sociale del rapporto.
Nel silenzio del locale deserto (gli impiegati son tutti andati via), Una e Ray si confrontano e scontrano, quasi lanciando l’una contro l’altro i lacerti della propria esistenza smembrata. Ray è riuscito a cambiare il suo nome, dopo gli anni di penosa galera, per sfuggire alla notorietà conseguita e non vorrebbe rivangare il passato; Una, che ha avuto una trafila di amanti, successiva a terapie psciologiche non dissimili per lei da torture, vuole avere da Ray una risposta. Molto più del perché l’ha voluta, le preme apprendere il perché l’ha lasciata in una fredda stanzetta d’albergo, dopo quel primo rapporto carnale che per lei era la prima esperienza d’amore e per lui la prima avventura - se non l’unica, come dichiara - con un’adolescente poco più che bambina.
Cosa provano ora l’uno per l’altra? Quanto il rimosso riemerge a strappi e con furia, quali possibilità di chiarimento, di elaborazione del vissuto può derivare ai due da quest’incontro?
In tempi in cui il fenomeno della pedofilia, perse le coperture dei silenzi con cui veniva mimetizzato in passato, affiora alla coscienza collettiva assumendo proporzioni mai avute “grazie” alla reti di “commercio” on line, Blackbird di Davide Harrower affronta il tema in un’ottica diversa, in quella di uno scavo esistenziale che ci rimanda a un quadro alquanto insolito. Se per Ray scatta dopo quell’esperienza il terrore non solo di essere identificato spregiativamente da altri come pedofilo, ma di doversi definire tale da sé, in Una il trauma dell’abbandono - unito alla reazione di familiari, psicologi, assistenti sociali, del vicinato presso cui resta a vivere, perché la madre, forse per punirla, non ha accettato di cambiare città o quartiere di residenza - ha inferto colpi devastanti e profondi, impedendole di tornare ad amare. Perché questa è la verità sconcertante che, malgrado i risvolti “morali”, Harrower ci conduce a vedere: la dodicenne Una non si sentiva minimamente abusata, ma solo amata da quell’uomo maturo non in grado di tenerla con sé.

Un testo aspro che fa molto riflettere. In un incontro di pochi giorni prima nel chiostro del Teatro Grassi del Piccolo, il regista Lluis Pasqual, rispondendo a una domanda su cosa lo inducesse a scegliere un soggetto, dichiarava che un’opera dove porgli un problema da osservare, da indagare, definire, o comunque cercar di comprendere, deve suscitare in lui interrogativi e non proporre soluzioni già chiuse. In Blackbird di Davide Harrower lo svelamento e la chiave interpretativa sono costantemente ribaltati dalla sofferta attualità dei personaggi, dal loro essere interiormente divisi da tutto quello che un dì sono stati senza alcuna possibilità di riaggancio, da un dissestante vissuto che rimane, anche se ormai non lo si può far rivivere.


Traduzione italiana di Alessandra Serra. Scene di Paco Azorín, costumi di Chiara Donato, luci di Claudio De Pace. Attori con nervi e sangue allo scoperto in un dramma d’intensità ragguardevole, diretto con perfetta maestria.

Milano, 19 maggio 2011
© Iole Natoli

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