Alle 3 del mattino suona molesta e insistente la nostra sveglia: è ora di alzarsi e prepararsi rapidamente! In tre avevamo deciso di discendere il Grand Canyon partendo dal bordo sud (South Rim) fino al fiume Colorado percorrendo il South Keibab Trail, per poi risalirlo nello stesso giorno. Il dislivello da superare sarà di 1.600 metri in discesa e altrettanti in salita di quella che è considerata da tutti una vera e propria fornace.
Indossati gli zaini che contengono un'abbondante scorta d'acqua, lasciamo Tusayan, dove avevamo pernottato, per raggiungere l'ingresso del Parco, non presidiato a causa dell'ora antelucana.
Grazie alle mappe di cui disponiamo, ci destreggiamo per trovarci entro le 4.15 al terminal dell'unico bus abilitato a trasportare i passeggeri all'interno del Parco Nazionale. Secondo le informazioni ottenute, dovremmo percorrere un tratto con questo primo automezzo, per poi cambiarlo con un secondo, ma, a dispetto dei miei sforzi volti a decifrare la parlata fortemente gergale dell'autista, non riusciamo ad averne certezza.
Per nostra buona sorte salgono con noi alcuni giapponesi, intenzionati ad ammirare l'alba da un punto panoramico prossimo all'inizio del sentiero che a noi interessa, ed è solo grazie alle provvidenziali informazioni, riportate su un loro giornalino, che riusciamo a trovare il secondo bus e a raggiungere il punto d'inizio del South Keibab Trail.
Il giorno precedente avevamo letto alcuni avvisi posti dai ranger: ammonivano a non tentare di scendere e risalire il Grand Canyon in un solo giorno, perché per lo sfinimento parecchie persone avevano subito dei collassi fisici o addirittura ci avevano lasciato la vita. Giusto o sbagliato che sarebbe stato, noi avevamo deciso di provarci ed ora era giunto il momento della verità, di scoprire se ce l'avremmo fatta.
Sono le 5 del mattino e albeggia rapidamente.
All'interno del Grand Canyon notiamo vaste nuvole che paiono di fumo azzurrognolo, mentre nella parte più profonda vi è foschia, indice di forte umidità. Mi piace immaginare che gli indiani possano averci avvistati e che forse proprio per questo siano lì…intenti a fare segnali di fumo.
Al tenue chiarore dell'alba iniziamo a scendere lungo il sentiero.
Sono particolarmente curioso di vedere come potremo cavarcela tra le pareti così scoscese di quest'enorme Canyon, lungo un cammino ignoto ai primi spagnoli, che inutilmente si erano cimentati nell'impresa. Il tracciato è ben definito ma camminiamo su uno strato di polvere finissima, che i nostri passi ritmici trasformano in sbuffanti nuvolette impalpabili. Ben presto sopraggiunge una carovana di muli affardellati, che, superandoci, ci aiuta inconsapevolmente a determinare lo sviluppo del sentiero davanti a noi.
Le pareti del Canyon sono spettacolari, gli strati geologici perfettamente evidenti e di molteplici colori.
Canyon perché la temperatura è ora di 105°F (41°C) gradi all'ombra.
Ci avevano raccontato che sovente i serpenti a sonagli si dispongono dietro le pietre e che, se camminando ne importunassimo malauguratamente qualcuno, questo potrebbe morderci. Suppongo che in tal caso potremmo solo immortalare in una foto chi sta tirando le cuoia per un morso!
Proseguendo lungo la discesa, improvvisamente ne vedo uno, a un paio di metri da me, sul sentiero: è il mio primo serpente di questo tipo! Estraggo la macchina fotografica e scatto, avvicinandomi quanto basta per riprenderlo perfettamente dall'alto, da un'altezza di circa ottanta centimetri; mi lascia giusto il tempo di farlo, prima di scomparire infilandosi tra alcune rocce. Sono stato veramente fortunato a poter catturare la sua immagine: i serpenti mi affascinano.
Dall'alto notiamo il ponte metallico sospeso sul fiume, che sapevamo di dover attraversare; lo raggiungiamo e lo superiamo di fretta, ritrovandoci così sull'altra sponda. Proseguendo, raggiungiamo le rovine di alcune antiche costruzioni degli indiani Anasazi, che per alcune centinaia di anni avevano popolato le rive del Colorado. Più avanti sostiamo nei pressi di una casupola di legno, abitazione del guardiano del Phantom Ranch (la Fattoria Fantasma), dov'è possibile campeggiare prenotando con alcuni mesi di anticipo.
Dopo esserci rifocillati, camminiamo fino a un secondo ponte sospeso, che attraversiamo per riportarci sulla sponda sud del Colorado. Per alcuni chilometri il sentiero affianca il fiume, poi si addentra in una valle, lungo un torrente che abbiamo costeggiato.
Sono le dieci del mattino, il caldo è opprimente, il sole accecante e soffriamo. Sapendo che il percorso di ritorno sarà più lungo di quello già fatto, manteniamo un'andatura moderata lungo la salita . Se all'ombra la temperatura è di 41°C ( 105°F ), al sole sale di 15°: perciò quando camminiamo siamo esposti a circa 55°C, troppi per qualsiasi essere umano. Per placare l'arsura causata dall'evaporazione, beviamo avidamente dalle nostre borracce, centellinando però i sorsi d'acqua, per non esaurire rapidamente le scorte.
La salita è interminabile e molto dura; è inevitabile lanciare degli sguardi ripetuti al profilo superiore del Grand Canyon … sperando che si avvicini, ma le pareti stratificate ci sovrastano per centinaia e centinaia di metri e gli alberi, che s'intravedono sul bordo, sembrano un lontanissimo miraggio.
Così, ci trasciniamo piuttosto penosamente e nessuno di noi ha voglia di commentare i selvaggi panorami e le elaborate cuspidi, che gli occhi vedono, ma che i cervelli rifiutano di considerare. E' sofferenza pura quella che stiamo vivendo. Ora capisco come mai tante persone finiscano col perdere i sensi, o muoiano per collasso; ora capiamo il significato delle avvertenze dei ranger: “Non tentate di scendere e di salire per il Canyon in un solo giorno”.
Dopo circa quattro ore giungiamo finalmente all' Indian Garden, così chiamato perché gli indiani nell'antichità vi coltivavano cereali. Meraviglia delle meraviglie, v'è un punto d'acqua. Beviamo tutti e tre abbondantemente, ci rinfreschiamo e riempiamo le nostre borracce. Altri escursionisti stanchi, provenienti da dove noi arriveremo, si ristorano all'ombra d'un grande albero. Nel sentire che siamo appena risaliti, dopo aver effettuato la discesa al mattino, rimangono increduli e stupefatti. Racconto che abbiamo visto un rattlesnake(serpente a sonagli); loro si eccitano e io devo mostrare la foto digitale che ho scattata. Tutti rimangono ammirati ed io ho un momento di quasi celebrità.
Dopo la sosta, a malincuore riprendiamo il cammino; un'altra ora ed eccoci al “three mile rest point”, altro punto d'acqua che dista tre miglia dal bordo del Canyon, nostra meta finale.
Il Bright Angel Creek (Torrente dell'Angelo Splendente) fu così chiamato dal Maggiore Wesley Powell e dal suo equipaggio nell'agosto del 1869, durante la prima spedizione lungo il Grand Canyon, per le acque limpide che contrastavano con quelle fangose del Colorado e dei suoi numerosi affluenti. A uno di questi fu dato il nome di "Diavolo Sporco", in onore del Grande Capo degli "Angeli Cattivi".
Powell trovò anche alcuni resti in pietra e calcina delle dimore degli indiani Anasazi. Datate attorno al 1100 D.C., queste rovine sono tuttora visibili a circa 200 metri a ovest del Black Bridge, lungo il sentiero.
Il three mile rest point e la trave-trabocchetto
Nella capanna, sostenuta da pali e pilastri ma priva di pareti, altri escursionisti si riposano all'ombra, in attesa di tornare sui loro passi. Tra queste noto un ranger con una divisa speciale: è un medico, pronto a prestar le sue cure a chi dovesse subire un collasso per il gran caldo. Con lui scambio alcune battute e commenti sull'abbigliamento inadeguato che alcuni indossano: sandali aperti, berretti sprovvisti di tese larghe, ecc. Qualcuno dice che dietro la casupola v'è una presa d'acqua. Per rifornirmi, esco dalla parte anteriore, giro attorno alla casupola, riempio la borraccia. Ma perché rifare lo stesso giro, mi dico, meglio entrare direttamente dalla parte posteriore. Ci provo e...vado a sbattere violentemente la fronte contro una trave del soffitto, barcollo, scivolo e finisco per terra, cadendo su alcune rocce. Qualcuno mi aiuta a rialzarmi e il medico premurosamente mi chiede se ho bisogno del suo aiuto... Gli chiedo, furioso come sono, chi è quell'imbecille che ha progettato la capanna in quel modo; sicuramente, protesto, quella pericolosa struttura deve aver causato e causerà anche ad altri lo stesso incidente! No, no, mi spiega in tono amabile il medico: "normalmente" la gente va a sbattere contro il bordo affilato delle tegole, ferendosi in un altro punto della costruzione. Non posso crederci! Tutto sommato, m'è quindi andata bene: gli irresponsabili sono proprio dappertutto! Invito il medico a segnalare questo pericolo alla direzione del parco.
Proseguendo, incontriamo ancora escursionisti poco attrezzati per un sentiero di questo tipo; alcune ragazze giapponesi, ad esempio, calzano semplici sandali. Il gruppo proviene esattamente dal punto che noi invece dobbiamo raggiungere: l'inizio del Bright Angel Trail.
Pochi minuti prima delle 15 giungiamo nuovamente al bordo del Grand Canyon: sono passate 10 ore dall'inizio del nostro cammino. Sia la discesa sia la risalita, faticosissime per il caldo torrido, sono state effettuate in uno scenario di straordinaria e selvaggia bellezza.
Sono intenzionato a rifare questo percorso, quando accompagnerò un nuovo gruppo in Arizona. |
Nessun commento:
Posta un commento