di Iole Natoli
Con la sentenza nº 4377, depositata il 1º Febbraio 2012, la III Sezione penale della Corte di Cassazione, chiamata ad esprimersi in merito a un caso di stupro di gruppo, conia un’inedita interpretazione estensiva del contenuto della sentenza 265 del 2010 della Consulta, per evitare - come da una precisazione resa alla stampa, dopo le varie reazioni scatenate - inevitabili scarcerazioni immediate per scadenza dei termini di custodia cautelare, che avrebbero sottratto gli imputati a ogni altra detenzione eventuale, scaturente da una valutazione del giudice.
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Sotterraneo di Iole Natoli - Olio su tela, 1985 |
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Motivazione sicuramente valida e nobile che tuttavia non ci esime dal sottoporre ad analisi la fondatezza dell'estensione effettuata. Consideriamo in primis che, nel caso di imputati e non di condannati a seguito di un processo, vige la regola di presunzione d’innocenza, che cozza NON con le eventuali detenzioni cautelari conseguenti a un’autonoma decisione del giudice, MA con il carattere obbligatorio di tale detenzione, che verrebbe a determinare una riduzione della libertà del giudice nella valutazione dei provvedimenti da applicare.
Ogni legge che ponga un limite alla libertà della magistratura si pone dunque in una sfera di eccezionalità, che implica una verifica e un giudizio da parte della Corte Costituzionale.
Per quanto concerne la legge sulla violenza sessuale, tale giudizio in precedenza c'è stato (sentenza 265 del 2010) ed è a quello che la Cassazione fa riferimento nel trarre la sua discussa conclusione.
Leggiamo nella sentenza della Corte:
«(…) osserva, ancora, la Corte costituzionale (paragrafi 10 e 12) che la irragionevolezza della soluzione normativa» (della legge contro la violenza sessuale che prevede la detenzione ed esclude le misure alternative - cosa “costituzionalmente” approvata per i reati di mafia) «può essere agevolmente apprezzata ove si considerino» (due circostanze e cioè:) «la circostanza che i reati di violenza sessuale comprendano “condotte nettamente differenti quanto a modalità lesive del bene protetto e la circostanza che solitamente si tratta di delitti meramente individuali che possono essere affrontati in concreto anche con misure diverse dalla custodia in carcere” (…)».
Ora, lessicalmente, il che relativo si riferisce esclusivamente a DELITTI MERAMENTE INDIVIDUALI. Sono quelli dunque, i “meramente individuali”, “che possono essere affrontati in concreto anche con misure diverse dalla custodia in carcere”: non altri.
Sicuramente non sappiamo con certezza cosa avrebbe stabilito la Corte Costituzionale, se chiamata ad esprimersi esplicitamente anche sullo stupro di gruppo, in relazione al caso concreto in esame. Sicuramente i termini di custodia cautelare sarebbero scaduti accettando il richiesto ricorso al parere della Corte costituzionale, col risultato di dover rimettere in immediata libertà gli attuali imputati.
Vediamo allora cosa ha fatto la Cassazione nella sua sentenza.
Ha esteso le considerazioni della Consulta per il reato di stupro individuale a quello di stupro collettivo, benché allo stato attuale una lettura corretta proprio del dispositivo della Consulta, dalla Corte citato, allo stato attuale non lo possa consentire ipso facto.
NON SOLTANTO, infatti, quel "si tratta di delitti meramente individuali" porta a concludere che il non meramente individuale esuli immediatamente dalla possibilità delle misure alternative per il danno MULTIPLO che si ipotizza sia stato subito dalla persona, MA l’ipotizzata presenza di un gruppo attivo (che diventa accertata solo a conclusione di un processo) implica che si sia in presenza di soggetti in grado di agire delittuosamente operando collegamenti mirati e adottando condotte criminali unitarie, del tutto simili a quelle delle organizzazioni mafiose (per le quali l’eccezionalità del carcere preventivo è norma), sia pure su piccola scala. Gruppuscoli delinquenziali, nuclei sparsi e molteplici di uno sterminio morale e fisico di donne, tramite le violenze sessuali e il femminicidio.
Come spiegato dalla stessa Corte di Cassazione a seguito del divampare di polemiche - causate anche, ma non solo, da informazioni spesso distorte sulla sentenza in esame -, la Cassazione ha di fatto scelto il male minore, per evitare scarcerazioni altrimenti inevitabili. Non di una sentenza aberrante contro le donne si tratta, dunque, ma di una sentenza tarata strategicamente su un caso e tuttavia potenzialmente pericolosa per l’insieme delle donne.
L’accaduto rende di fatto eclatante un dato abitualmente sottostimato: la nostra società non è attrezzata, sia culturalmente sia giuridicamente, per affrontare un fenomeno gravissimo ed esteso quale quello delle violenze sulle donne - di tipo sessuale e non - che sempre più spesso sfociano nel femminicidio, ovvero nei DELITTI CONTRO UN GENERE.
Finché non avremo affrontato a fondo questo problema, questo marchio d’infamia di cui tutti gli Stati di Diritto Distratto si macchiano, non prevedendo un organico complesso di misure (preventivo-educative, preventivo-detentive e detentivo-punitive), una sentenza come l’attuale non potrà che esser letta - malgrado le intenzioni della Corte - come un aggravio delle condizioni precarie delle vittime, o presunte tali, e un contributo, sia pure involontario, a una percezione generale di minor gravità dello stupro di gruppo rispetto a quanto stabilito fin qui dalla legge, con conseguenze abbastanza deleterie sulla già alta diffusione del fenomeno e su possibili escamotage giudiziari che si avvalgano di tale sentenza in chiave difensiva di colpevoli.
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