Quando il SOLO
REFERENTE rimasto è il vasto PUBBLICO
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di Iole Natoli
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Si sono dette e scritte molte cose a seguito dell’attentato compiuto il 28 aprile 2013 da Luigi Preiti, nel tentativo di dare una collocazione credibile all’evento. |
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Comprensibile lo
spaesamento e l’affanno nel cercare di trovare una traccia, un po’ meno la
distrazione sulle modalità e le parole pronunciate dallo stesso attentatore,
che conducono al cuore del problema.
Luigi Preiti non ha
infatti nascosto la sua intenzione di farla finita, al punto che, non essendo
riuscito a concludere col suicidio l’intero progetto, ha gridato “Uccidetemi
voi!” (o qualcosa di analogo) ai Carabinieri.
Occorre invece partire
proprio da lì, dall’intenzione a lungo covata di uccidersi. Un’idea che era
maturata non nella mente di un malato terminale che vuol risparmiarsi le
sofferenze finali, che esige per sé una morte dignitosa e dunque la
circoscrive a se stesso e cerca di affrontarla con coraggio, ma in quella di
un soggetto che, per uccidersi, PRIMA
deve uccidere altri, perché per lui altrimenti quel gesto non possiede lo spessore di un senso.
Si possono elencare molti
fatti che di certo hanno giocato un ruolo traumatico nella vita di questo
quarantanovenne di Rosarno, ma c’è un dato che non va sottovalutato. A Preiti infatti
piaceva troppo giocare. Era stato proprio questo motivo, a quanto pare, a
incrinare il rapporto con la moglie, sino a produrre la separazione e
la perdita della convivenza col figlio, a cui peraltro non poteva provvedere
economicamente, a causa della mancanza di lavoro.
Disoccupazione che non
aveva però interrotto quell’infausta dipendenza dal gioco. A ben vedere gli
affetti familiari, di cui dopo avrà certamente patito la mancanza, non
erano stati sufficienti all’epoca per bloccare una deriva pericolosa, quella
in cui ci si affida ad altro da sé nel tentativo di sfuggire a se stessi nella ricerca d'una gratificazione immediata, cui approdare con qualche vincita sbalorditiva.
Sbalorditiva, come la
reazione prodotta poi da quel gesto, compiuto contro persone innocenti che
svolgevano il loro servizio di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica,
al Viminale. “Volevo compiere un gesto eclatante”, ha spiegato Preiti.
In effetti, un semplice
suicidio abbastanza eclatante non è. Viene liquidato molto in fretta e
dimenticato come una brutta indigestione dai parenti più prossimi. Quanto
agli altri, neanche se ne accorgono. Un suicidio non richiama pubblico, non è
qualcosa che sciocca le persone come ad esempio le stragi nelle scuole
d’America o altri avvenimenti che rimbalzano da una pagina all’altra della
cronaca o irrompono nella nostra vita privata da uno schermo televisivo o da
un computer, distogliendoci dagli affanni quotidiani e dando a chi non ha
emozioni vivibili in proprio quelle vivibili per interposta persona, forse le
uniche che possono ancora restargli.
Inoltre, se il suicidio
non è una scelta di liberazione - com’è nel caso del malato terminale - ma
viene vissuto come conseguenza di una serie di situazioni sociali, imputabili
dunque all’esterno, allora bisognerà che paghi anche qualcun altro per quella
morte che ci si deve infliggere quasi “per forza”. Un qualcun altro che
assicuri grande pubblicità all’evento, generando il riscatto dall’anonimato
di una vita sempre più miserevole e ridotta. Chi, allora, meglio di qualche
personaggio politico, in un momento in cui gli animi sono accesi, la
sicurezza per il futuro è ai minimi storici, la fiducia nei rappresentanti politici
è crollata? E quale momento migliore per suscitare un vero e proprio boato di
quello in cui si compie il giuramento che sancisce la nascita di un
Governo, a lungo atteso - in questa forma o in altre - da quasi tutta la
gente d’Italia?
L’ingresso del primo
attore sulla scena prevede anche un costume adeguato, quello più adatto a ciò
che non si sarà mai, ovvero un abito da uomo vicino al Palazzo del potere, un
segretario, un impiegato, un giornalista; senza contare che un completo
impeccabile attira meno l'attenzione altrui di un abbigliamento da
presunto rivoltoso, o da scalcinato ragazzo di passaggio… non ci vuole una
laurea per saperlo, anche un semplice manovale lo sa.
Ciò che Preiti non aveva
previsto, nella sua pianificazione accurata, non è stato tanto
l’inconveniente di non potere raggiungere i politici e di doversi
“accontentare” di alcuni carabinieri che gli avrebbero forse impedito
l’accesso al Palazzo: aveva sottovalutato o ignorato del tutto la persistenza
tenace del duale. Uccido gli altri e me era un tutt’uno, o almeno aveva
creduto che lo fosse. E invece no, perché quell’atto di suicidio desiderato
ma subordinato ad altro, differito, posposto a un’esecuzione per lui insolita
non essendo un assassino di professione, ha fatto risorgere l’io celatosi nella
mistificazione del “noi morituri” e lo ha bloccato. Preiti allora ha invocato
l’altra metà di quella unità fasulla, coloro che stavano dall’altra parte,
dalla parte di quegli altri da uccidere e che lo avevano afferrato per
fermarlo, chiedendo loro di ricomporre il gioco, di trasformarsi essi stessi
in omicidi per far scattare la gratificazione prevista: l’abnorme
spettacolarità del suo gesto che avrebbe dato un macrosignificato apparente
al suo percorso ormai privo di senso.
Ora che il dimezzamento
dell’atto lo pone infine a tu per tu con se stesso, non avrà molto da
rallegrarsi di questo. La presa di coscienza sarà amara e nessuna
strombazzata televisiva servirà ad alleviare l’angoscia. Un volto urlante, un
dito medio alzato contro la folla, le masse incolonnate per le vie, ogni
immagine dell’universo mediatico recente si fonderà con le immagini delle slot machine, del biliardino, dei videopoker,
abbordabili oggetti fotocopia di quei premi dei telequiz tanto in voga.
Oggetti simbolo di una civiltà del malessere in cui viviamo immersi sino al
collo, alla cintola, o soltanto alla caviglia in ragione dell’autonomia
personale; falsa cultura, che diffonde il suo marcio annichilendo gli
esecutori e le vittime e della quale è sempre più urgente disfarsi.
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Milano, 30 Aprile 2013
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©
Iole Natoli
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martedì 30 aprile 2013
SOCIETÀ E POLITICA / L’attentato di Roma dinanzi a Palazzo Chigi
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