Questa volta niente spighe di grano sul palcoscenico del Teatro Studio di Milano. E nemmeno libri e tendine. Niente di ciò che connota abitualmente uno spazio scenico e non solo quello di L’età dell’oro e di Una stanza tutta per me, cui ci stiamo qui riferendo. Nessun elemento scenografico precostituito: solo uno schermo, un ampio schermo bianco atto a ospitare, come un alveo accogliente, le inquadrature della narrazione. E dinanzi allo schermo Celestina, il personaggio attraverso cui Laura Curino ha filtrato informazioni e visioni, analizzando, con sensibilità critica e partecipe, un evento che ha un peso nella Storia. In più momenti il volto di Mattei sullo schermo, la sua figura, il suo sguardo, il suo enigma. Chi è Enrico Mattei, dove e in che modo si è snodato il suo percorso negli anni, quali sono gli ideali e i comportamenti dell’uomo, quali i rischi, pericoloso contraltare dei giochi, cosa si cela dietro la sua morte?
A raccontare i fatti è una donna di mezza età, trasandata, abbigliata con un cappotto e un tutù, un’ex ricoverata d’un ospedale psichiatrico che conosce a fondo la storia di Mattei, quasi ne fosse stata testimone, ed esprime la sua opinione senza veli, con tutta la libertà che solo un matto, o un ex matto, sa avere. Grazie a una frequentazione immaginaria, ha sviluppato un rispetto e una comprensione al limite dell’amore per colui che considera “il capo”, una familiarità tanto stretta da potersi traquillamente figurare che Mattei, che ha finito con lo sposare una ballerina, avrebbe scelto invece proprio lei, Celestina, se soltanto le fosse accaduto di trovare, con un certo anticipo sui tempi, il tutù.
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